Il Virus che ci riconduce al mito di Enea

Un’occasione per prendere coscienza della malattia endemica di cui soffre la nostra Società: L’indifferenza!

Il mondo è cambiato molte volte, e sta cambiando di nuovo. Tutti noi dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare e di creare relazioni. Ma come per tutti i cambiamenti, ci saranno alcuni che ci perderanno più degli altri, e saranno quelli che hanno già perso troppo. La maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito, ma lo farà presto, che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese.

Ecco, dunque, che l’emergenza coronavirus può rappresentare un’occasione per prendere coscienza della malattia endemica di cui soffre la nostra Società: L’indifferenza! Occorre, dunque, ripensare alle nostre vite ed al mondo in un’ottica di gioia non solo individuale ma anche comunitaria.

Un video segnalatoci dal Maestro Giorgio Zagnoni, Presidente presso l’Orchestra Filarmonica di Bologna e Membro onorario del Japan Opera Festival, ci porta ad una profonda riflessione.

In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all’altro, arriva lo stop. Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro.In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.

In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.

In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.

In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi.

La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro. Come è già stato scritto, cerchiamo di non dimenticare che siamo i discendenti di Enea, che fuggendo da Troia in fiamme, portò sulle spalle il padre Anchise che non poteva camminare.

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