Questa, come il giornalista Marco Marozzi ben descrive nel suo libro “Sogni coraggiosi”, è la storia di oltre sessantamila italiani, di oltre tre milioni di persone nel mondo. Sono i malati di sclerosi multipla, in grande maggioranza giovani, le donne molto più degli uomini. È la storia della speranza che adesso li accompagna.
Paolo Zamboni, chirurgo vascolare di Ferrara, è uno scienziato italiano famoso nel mondo per avere sviluppato una teoria e un metodo di cura rivoluzionari: con un catetere e un palloncino sblocca le vene del cervello che molti malati di sclerosi hanno ostruite. Non un miracolo ma una terapia per una delle cause di una malattia misteriosa, progressiva, finora senza rimedi.
Quando la moglie Elena è stata colpita dalla sclerosi multipla, Zamboni, a sua volta affetto da un male rarissimo che gli ostacola i movimenti, si è buttato a studiare il male misterioso e drammaticamente più comune tra le sindromi neurologiche, finora senza rimedi. Oggi tanti medici stanno operando privatamente con il metodo Zamboni, scienziati lo studiano. Il web è impazzito di testimonianze, rabbia, attesa. Lui, Zamboni, lotta perché il suo metodo sia riconosciuto dalla sanità pubblica, e perché la ricerca continui.
Questa è la storia di tre avventure concentriche: quella medica, la speranza dei malati, quella scientifica, la ricerca di un grande ingegno italiano; quella umana, la storia appassionante e commovente di un medico malato che riesce a curare la moglie, a sua volta, malata.
Corre l’anno 2007 quando Paolo Zamboni, professore universitario italiano, un medico, che è già riconosciuto da tempo in ambito internazionale come valente chirurgo vascolare, identifica, dopo più di dieci anni di studio, una malformazione mai prima ne’ vista ne’ studiata. Alcune vene che dovrebbero scaricare dal cervello un litro di sangue al minuto sporco di tossine e altro materiale di scarto, perché è sangue usato per ossigenare e nutrire, hanno in alcuni una malformazione che genera strettoie ed ostruzioni. Come se il sistema “fognario” tra il laboratorio-cervello ed il depuratore-cuore avesse delle chiuse serrate. Questo professore chiama CCSVI tale anomalia, insufficienza venosa cronica cerebro spinale, la pubblica su una rivista internazionale di neurologia di primo piano e la porta al congresso della più grande associazione di chirurghi vascolari al mondo. I suoi colleghi, rappresentanti di 47 paesi, ne avallano all’unanimità la bontà, confermando il sistema di diagnosi e di terapia da lui descritte tanto da inserirla in un documento di consenso internazionale. Un grande successo per la ricerca italiana e per la sua università.
Tutto bene, quindi, tanti nel mondo cominciano a correggerla chirurgicamente con un intervento mini-invasivo, sicuro ed utilizzato in altri settori dell’albero circolatorio da oltre venti anni, che si fa in day hospital, senza ricovero. Appare, infatti, di assoluto buon senso ristabilire un’adeguato scarico venoso in un tratto così importante in coloro che lo hanno malformato. Tutti, però, si accorgono anche di un’altra cosa intervenendo: come il professore aveva invero già notato e scritto, i portatori di questa malformazione, hanno solitamente ospite nella loro carne anche un’altra patologia, questa neurologica, la sclerosi multipla. Il professore italiano fa ulteriormente osservare che proprio in questi casi si registra un accumulo di ferro tossico nel cervello che è il territorio da drenare, regola peraltro comune in tutte le malattie croniche delle vene. Anzi, un professore della neurologia dell’Università di Harvard e altri luminari della neuroradiologia internazionale confermano un’assoluta correlazione tra la quantità di ferro che si deposita come scoria attorno alle vene cerebrali e la gravità della disabilità nei malati di sclerosi multipla.
Con senso della misura scientifica, infatti, il professore si limita a proporre agli specialisti di questa malattia il risultato delle sue osservazioni: ma a chi viene riaperto adeguatamente il sistema fognario vascolare e quindi portato via come natura prevede lo sporco dal cervello, in una misura variabile dallo stadio della malattia, si notano significativi miglioramenti anche nel quadro clinico della sclerosi multipla.
CCSVI è riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale dei vascolari come patologia cronica dell’apparato venoso e ne sono state accettate sia la diagnosi sia la terapia come definite dal Prof. Paolo Zamboni, tanto da essere inserite nella Consensus Conference mondiale dei chirurghi vascolari presieduta dal prof. B.B. Lee, Georgetown University, Washington, e votata da 47 paesi all’unanimità nel settembre del 2009 a Montecarlo. Qui potete scaricare il documento ufficiale: Download “Alla Consensus Conference hanno partecipato 40 esperti appartenenti alla Società Internazionale per le Malattie Neurovascolari (ISNVD) e ad altre sette delle maggiori società, nazionali e internazionali, che si occupano proprio di questo, ovvero di diagnostica del sistema venoso con apparecchi a ultrasuoni. Ne è risultato un documento approvato all’unanimità, dove il 90% del metodo che era stato precedentemente proposto dal gruppo di Ferrara e di Bologna è stato approvato unanimemente. Oltre a ciò, sono stati introdotti numerosi miglioramenti che incrementeranno la riproducibilità e diffusione del metodo. Il documento siglato a Bologna, verrà, successivamente, inviato alle principali riviste delle seguenti categorie scientifiche: diagnostica vascolare, radiologia, neuroradiologia, radiologia interventistica, chirurgia vascolare, angiologia, neurologia, diagnostica vascolare. Le principali società che si occupano d’indagini diagnostiche sul sistema venoso che hanno partecipato alla Consensus Conference sono: European Venous Forum, l’Unione Internazionale di Flebologia, l’Unione Internazionale di Angiologia, l’American e l’Australasian College of Phlebology, la Società Italiana di Patologia Vascolare, la Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare”.
Il giorno 8 settembre 2009 A Bologna, presso la Sala dello Stabat Mater, uno dei più rappresentativi ambienti dell’antica sede universitaria, un Cenaculum studiorum internazionale promosso dalla neo costituita “Fondazione Hilarescere”, presieduta dal prof. Fabio Roversi Monaco, già Magnifico Rettore dell’Università di Bologna, comunica al mondo gli esiti di una ricerca sulla “CCSVI e la sclerosi multipla”svolta dal prof. Paolo Zamboni in collaborazione con il dottor Fabrizio Salvi. Paolo Zamboni, medico chirurgo e scienziato italiano, dal 2004 direttore del Centro Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara, nel corso della sua carriera da ricercatore sostiene di aver rintracciato, in uno studio preliminare, una stretta correlazione tra la presenza di diversi problemi venosi, come stenosi o valvole difettose e sclerosi multipla. La presenza di depositi di ferro a livello cerebrospinale lo ha spinto a ricercare una correlazione tra questi patologici restringimenti venosi, da lui ribattezzati sotto il nome di Insufficienza venosa cronica cerebrospinale (o CCSVI) e la sclerosi multipla. Zamboni si è avvalso dell’ausilio di un’équipe dell’Università di Ferrara, in collaborazione con il neurologo dott. Fabrizio Salvi del Dipartimento di Neurologia dell’Ospedale Bellaria di Bologna. Zamboni, in quel tempo, ha già effettuato i primi interventi di angioplastica per ridurre le stenosi venose di alcuni soggetti affetti da CCSVI e da sclerosi multipla. Il trattamento è stato battezzato dai pazienti come “Intervento di Liberazione”. Soprattutto nell’anno 2009 questa ricerca sulla cura della CCSVI ha destato l’interesse a livello mondiale degli scienziati, della stampa, delle associazioni di pazienti, delle istituzioni. E’ storia di quell’anno, con dati pubblicati e provenienti da diverse parti del mondo, come la tecnica dell’angioplastica applicata alla liberazione delle vene del collo dalle stenosi (cioè occlusione delle vene), ha migliorato la qualità della vita dei pazienti che oltre ad essere affetti da sclerosi multipla avevano anche la CCSVI. In merito alla correlazione tra CCSVI e sclerosi multipla il Prof. Paolo Zamboni e gran parte della comunità scientifica concordavano sul fatto che si sarebbero dovuti svolgere studi clinici rigorosi, randomizzati e controllati secondo standard generalmente condivisi ed eseguiti su un numero sufficiente di partecipanti.
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