
L’appello del professor Salvatore Spagnolo alla neurologia: Si prenda in considerazione anche questo approccio terapeutico!
Nel corso del suo intervento il professor Salvatore Spagnolo ha ipotizzato una possibile relazione tra l’ipoperfusione venosa cerebrale riscontrata nella SM e anomalie del flusso venoso extracranico, condizione nota come insufficienza cerebrospinale venosa cronica (CCSVI).
Queste anomalie del flusso sanguigno cerebrale in persone con SM erano già state riscontrate in altri studi precedenti.
Uno studio conclusosi nel 2011condotto dal prof. Paolo Zamboni (Università di Ferrara) e coordinato dal prof. Zivadinov (Università di Buffalo, USA) aveva analizzato una possibile relazione tra l’ipoperfusione venosa cerebrale riscontrata nella SM e anomalie del flusso venoso extracranico, condizione nota come insufficienza cerebrospinale venosa cronica (CCSVI).
Gli autori di questo studio avevano analizzato 16 persone con SM che presentavano anche la CCSVI e 8 persone sane di controllo. Le persone incluse nello studio presentavano forme di SM clinicamente definita e SM recidivante remittente (RRSM), con EDSS tra 0 e 5,5, età compresa tra i 18 e i 65 anni e con durata di malattia da 5 a 10 anni.
I ricercatori avevano utilizzato tecniche particolari di Risonanza Magnetica per misurare il flusso sanguigno cerebrale, il volume cerebrale del sangue e il tempo minimo di transito nella sostanza grigia e bianca e nella zona subcorticale della sostanza grigia cerebrale.
I risultati di questo studio avevano dimostrato una relazione significativa tra il grado di gravità della CCSVI e la diminuzione del flusso venoso nella maggior parte di regioni cerebrali analizzate.
La correlazione più forte fu osservata per la sostanza grigia e bianca (r = -0.70 a -0.71, P < 0.002 e P corretto = 0.022), e per le regioni del putamen, talamo, nucleo pulvinare, nucleo talamico globo pallido e ippocampo (r = -0.59 a -0.71, P < 0.01 e P corretto < 0.05). Non fu rilevata, invece, alcuna correlazione tra il punteggio VHISS e il volume cerebrale del sangue o il tempo minimo.
Sulla base di questi dati, gli autori pertanto suggerirono che la ipoperfusione avrebbe potuto contribuire al meccanismo noto come “ipossia virtuale” che porta alla degenerazione degli assoni, caratteristica della SM.
Successivamente, alcuni ricercatori belgi ed olandesi, affermarono che l’esatta patogenesi della sclerosi multipla (SM) non fosse stata completamente compresa. Anche se le risposte autoimmuni hanno un ruolo importante nello sviluppo delle caratteristiche lesioni demielinizzanti focali, il meccanismo alla base della degenerazione assonale, l’altro protagonista chiave nella patologia della SM e determinante principale della disabilità a lungo termine, rimane poco chiaro e corrisponde poco con l’attività della malattia infiammatoria. Studi di imaging di perfusione ponderata hanno dimostrato che c’è una diffusa ipoperfusione cerebrale nei pazienti con SM, che è presente dai primi stadi della malattia a quelli più avanzati. Questa riduzione del flusso sanguigno cerebrale (CBF) non sembra essere secondaria alla perdita di integrità assonale con diminuzione delle richieste metaboliche, ma sembra essere mediata da elevati livelli del potente peptide vasospastico endotelina-1 nella circolazione cerebrale. L’evidenza è in continua evoluzione sul fatto che l’ipoperfusione cerebrale nella SM è associata con ipossia cronica, formazione di lesioni focali, diffusa degenerazione assonale, disfunzione cognitiva, e stanchezza. Il ripristino del CBF può quindi emergere come un nuovo target terapeutico nella SM.