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17-I sogni coraggiosi di Paolo Zamboni

Nel 2011, per i tipi della Mondadori, l’avventura scientifica di Paolo Zamboni è narrata da Marco Marozzi.

Un libro caldo, scritto in diretta, che racconta di passione, amore, ingegno, detection scientifica.

Un’indagine accurata di Marco Marozzi, un grande inviato che racconta la battaglia appassionata e indignata di Paolo Zamboni contro la malattia, la burocrazia, Big Pharma.

Tutto inizia negli anni Novanta, quando il chirurgo vascolare ferrarese Paolo Zamboni, allora al lavoro a Sassari, è colpito da una rara malattia neurologica che rende difficili i movimenti e a sua moglie viene diagnosticata la sclerosi multipla, un male che interessa tre milioni di persone nel mondo e 58 mila in Italia. Zamboni riesce a tenere sotto controllo la sua patologia, e si dedica a quella della moglie. Che può manifestarsi con sintomi molto vari – dalla cecità alla stanchezza cronica, dalla perdita di equilibrio alle paralisi – e alterna periodi acuti a mesi o anni di remissione. In circa il 30-40 per cento dei casi, progredisce però fino a portare all’invalidità.

Si ritiene che la sclerosi multipla sia una malattia autoimmune, cioè causata da un attacco dei linfociti al tessuto cerebrale, scambiato erroneamente per estraneo. Perciò viene curata anche con farmaci che riducono l’aggressività del sistema immunitario. Questi però possono solo attenuare i sintomi e rallentare la progressione della malattia.

Zamboni scopre che vari ricercatori hanno ipotizzato in passato un ruolo, nella sclerosi multipla, di difetti nella circolazione venosa che drena il sangue dal cervello al cuore.

A partire dal 2005 esamina, con l’ecografia doppler, decine di malati e scopre che oltre la metà presenta difetti di deflusso del sangue, attraverso le vene del collo. Nel 2007 seleziona 65 pazienti, ai quali dilata i vasi ristretti, usando un catetere con palloncino. L’intervento riesce in 44 casi e in una trentina hanno un rapido miglioramento. Nel libro, Marozzi cita molte testimonianze. Noam Hirsch, bolognese, sintetizza così la sua rinascita: “La bestia è stata fermata”.

Il trattamento, che deve essere ripetuto perché le vene tendono a richiudersi, sembra ridurre i sintomi, allontanare le ricadute e rallentare il peggioramento. “La mia ipotesi” dice Zamboni “è che l’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica, o CCSVI, aumenti il ristagno del sangue nel cervello, provocando micro emorragie, e che siano queste a causare i sintomi della sclerosi multipla. Non è questa l’unica causa della malattia, ma credo che ne sia spesso un fattore importante”.

Nel 2009 il chirurgo viene chiamato negli USA, dove cominciano sperimentazioni, mentre Paesi come Serbia, Giordania e Kuwait iniziano a offrire la terapia negli ospedali. E così fanno anche cliniche private di mezzo mondo, Italia inclusa (costa dai 4 ai 20 mila euro). La sanità pubblica italiana, invece, sceglie di attendere. L’8 giugno 2010 il Consiglio Superiore di Sanità dichiara: “Ad oggi l’efficacia di qualsiasi procedura terapeutica vascolare non è sicuramente dimostrata”. In pratica: perché il servizio sanitario offra l’intervento va prima dimostrata la correlazione fra insufficienza venosa cerebro-spinale e sclerosi multipla. Questo provoca la sollevazione di migliaia di malati.

“Li capisco” dice il professor Mario Battaglia, Presidente della FISM, la Fondazione che dal 1998 ha affiancato l’AISM , Associazione Italiana Sclerosi Multipla, “ma proprio nell’interesse dei malati bisogna essere prudenti. La sclerosi multipla, per la natura complessa dei sintomi, è molto soggetta all’effetto placebo. E non dimentichiamo che quasi tutti i pazienti operati hanno continuato ad assumere i farmaci prescritti: va valutato se i miglioramenti derivino dall’una o dall’altra terapia”. L’intervento di dilatazione non è una panacea (circa un terzo degli operati non ha miglioramenti) e non è privo di rischi, soprattutto se, per tenere aperte le vene, si usano stent metallici, che possono staccarsi o provocare trombosi: due operati sono morti per questo e altri hanno rischiato la vita.

“Sono perfettamente cosciente dell’effetto placebo” dice Zamboni, “per questo ho pubblicato il mio studio solo due anni dopo l’intervento sui pazienti: volevo essere sicuro che i risultati fossero duraturi. La dilatazione delle vene, se effettuata correttamente e senza usare stent, non ha quasi effetti collaterali. A essere poco efficaci, e con molti effetti indesiderati, sono piuttosto i farmaci oggi utilizzati per la sclerosi multipla”.

Sulla correlazione tra CCSVI  e sclerosi multipla sono uscite nel frattempo decine di studi. Con risultati diversissimi: alcuni negano la correlazione, altri invece la confermano all’80% (studio italo-canadese su 710 pazienti, coordinato dal neuroradiologo Stefano Bastianello, dell’Università di Pavia). Un’analisi dei dati ottenuti dagli otto migliori studi è arrivata alla conclusione che il CCSVI  è 13,5 volte più comune nei malati di sclerosi multipla che nelle persone sane. Ma per FISM e AISM non basta: “Le metodologie seguite non permettono di arrivare a una conclusione certa” dice Gianluigi Mancardi, professore di neurologia all’Università di Genova. “Per questo l’AISM e la sua Fondazione hanno in corso Cosmo, uno studio di correlazione su un campione di duemila persone, composto da malati di sclerosi multipla e di altre neuropatologie e di persone sane. Il metodo usato è il più rigoroso, il doppio cieco, cioè chi valuta gli esami non sa allora sarà Cosmo a dire la parola finale?

Il Prof. Paolo Zamboni, che inizialmente aveva collaborato al progetto, lo ha poi abbandonato affermando che le sue indicazioni metodologiche non sono state considerate. A complicare le cose Giancarlo Comi, neurologo del San Raffaele di Milano, uno dei ricercatori più critici su Zamboni, ha anticipato, a ottobre, che l’esame del primo terzo del campione di Cosmo ha dato risultati positivi in meno del 10% dei casi. “Anticipare i risultati di uno studio è scorretto” replica Zamboni “perché ne influenza il prosieguo” da chi provengano le immagini ecografiche. Abbiamo addestrato trenta operatori, supervisionati da tre esperti di massimo livello. I risultati, previsti per la prossima estate, ci faranno capire in che misura CCSVI e sclerosi multipla siano correlate”.

Ma come è possibile che ricerche scientifiche simili conducano a risultati così discordanti? “A differenza di quello delle arterie” spiega il dottor Roberto Catalini, Presidente della sezione ecografia vascolare della Società italiana di ultrasonologia, “l’ecodoppler venoso è poco usato e non ha procedure standard, se non quelle ideate da Zamboni. Ed è un esame difficile. Le vene sono più piccole e irregolari delle arterie, i risultati variano anche se il soggetto ha bevuto da poco, e dipendono dalla sua posizione, da come respira. Io ho compiuto un centinaio di esami e, in effetti, ho visto molte possibili malformazioni venose. Ma era difficile dire se influissero davvero sulla circolazione, anche perché, se una vena è ristretta, in genere il sangue passa da una parallela. Insomma i risultati dipendono dall’interpretazione di chi effettua gli esami”.

Zamboni, nel frattempo, ha iniziato a reclutare pazienti per una ricerca, chiamata Brave Dreams, da cui il titolo del libro di Marozzi, condotta con l’aiuto della Regione Emilia Romagna. Il chirurgo interverrà sui tre quarti di 700 pazienti con sclerosi multipla e CCSVI, mentre il resto subirà solo una finta dilatazione, per valutare l’effetto placebo. I malati saranno seguiti per un anno. “Servono due milioni di euro, ma se tutto andrà come speriamo, entro il 2013-2014, potremo avere risultati definitivi”.

 

Qui potete scaricare la versione originale del libro.

 

Sogni coraggiosi (versione in eBook)

 

https://www.lafeltrinelli.it/ebook/marco-marozzi/sogni-coraggiosi/9788852021398?awaid=9507&gclid=CjwKCAjwq832BRA5EiwACvCWsbiu5HhL8ybWfSm0aP3xd-g5UEeXCr0c6186q2HEZtsa89XBPuSfyBoCl8YQAvD_BwE&awc=9507_1590917395_46910acb6901671a691b2249cc83f982

 

SOGNI CORAGGIOSI, LA BATTAGLIA DI PAOLO ZAMBONI CONTRO LA SCLEROSI MULTIPLA

 

A Natale del 2011 l’Associazione distribuisce il libro di Marco Marozzi ai dipendenti dell’università di Bologna:

Lettera al Rettore